Noli me tangere

Calvaert Denijs

Noli me tangere

Periodo

XVII sec.

Soggetto

Sacro

Tecnica

olio su tela

Dimensioni

cm 110×160

Altre informazioni:
Collezione (Donazione Marcianò Agostinelli);
Proprietà (Comune di Reggio Calabria);
Inventario (72741)

Il tema trattato è un episodio tratto dal Vangelo di Giovanni. Alla sinistra dell’osservatore Cristo è dipinto nell’atto di respingere l’abbraccio di Maddalena, inginocchiata ai suoi piedi. Sullo sfondo sono rappresentati alberi e montagne sotto un cielo ceruleo

Personaggi: Cristo, Maddalena

Noli me tangere è una famosa locuzione latina che significa “non mi toccare”.
La locuzione noli me tangere è attribuita a Gesù, che l’avrebbe rivolta a Maria Maddalena subito dopo la resurrezione; la circostanza è dedotta nel Vangelo secondo Giovanni 20, 17,[1] ma ha sollevato qualche dubbio l’eventuale ragione di questa presa di distanza e pertanto più d’uno fra gli esegeti ha mostrato perplessità.
Le moderne traduzioni della bibbia Nuova Riveduta e Bibbia CEI, invece di non mi toccare, traducono non mi trattenere. Tale nuova interpretazione è, probabilmente, più aderente alla lettera del Vangelo secondo Giovanni, originariamente scritto in greco, dove è riportata come: Μή μου ἅπτου (mê mou haptou).  La frase attribuita a Gesù fu un tema ricorrente dell’iconografia dal tardo medioevo al rinascimento ed ispirò diversi pittori, da Duccio di Buoninsegna a Paolo Veronese in Italia, da Hans Memling a Hans Holbein il Giovane in area fiamminga e tedesca. Gesù spesso è raffigurato con una vanga in braccio. Questa iconografia deriva dal Vangelo di Giovanni. Nel racconto di Giovanni la Maddalena è sgomenta nei pressi del sepolcro vuoto e quando Gesù appare non lo riconosce immediatamente, ma lo scambia per “il custode del giardino” nella traduzione CEI. Per l’appunto la vanga descrive la svista della Maddalena.
Presenta caratteri di luminosità cromatica e fluidità narrativa che ne consentono l’inquadramento tra la fine del XVII sec. e gli inizi del XVIII, in un ambito artistico permeato di esperienze veronesiane e fiamminghe, con influenze della scuola veneta, Tiziano, Tintoretto, Veronese. Il Geraci ha evidenziato la correlazione con il dipinto del Correggio conservato al Prado e con l’opera del fiammingo Denijs Calvaert della Pinacoteca di Bologna, della quale la tela reggina ripropone la disposizione delle figure in primo piano, ma con l’inserimento di elementi architettonici che separano dal retrostante paesaggio. Il Calvaert lo si ritiene il probabile autore del dipinto, poiché dovette orientarsi verso lo studio dell’arte veneta e parmense coniugata ad un realismo di stampo nordico. Bellissimi sono gli accostamenti di colori che creano una purezza nella loro gamma luminosissima.

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