Ibico reggino: poeta dell’antica Rhegion

I miti legati al grande letterato

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“…ma a me Eros
in nessuna stagione dà riposo…”
(Ibico Reggino Davies fr.286)

Ibico, figlio dello storiografo Fitio, di nobile famiglia messena approdata nell’antica Reghion, è uno dei poeti lirici più importanti di tutta la storia della letteratura greca.

Ad Ibico, inventore della cosiddetta “sambuca”, una cetra triangolare con la quale accompagnava la recita dei suoi canti, sono legati due modi di dire che hanno fatto storia nella tradizione politica e giuridica dell’età classica.

Inserito dai grandi studiosi alessandrini nel canone degli autori imprescindibili, al fianco di Omero e Saffo, è autore di sette libri composti in dialetto dorico, la lingua che al tempo della Magna Grecia si parlava tra le sponde dello Stretto.

Ibico reggino

Più ingenuo di Ibico

Il primo di questi due ipse dixit è legato all’episodio che vede protagonista il nostro poeta. Al culmine della sua fama artistica e politica, il poeta lirico, dopo la morte del re di Reggio Anassilao, avrebbe potuto diventare nuovo tiranno della polis reggina ma scelse una vita più semplice e tranquilla, così come era nel suo carattere e prese la via dell’esilio.

Ibico infatti, al tempo della cinquantaquattresima olimpiade, si recò alla corte di Policrate di Samo per dedicarsi esclusivamente alla poesia. Lì la sua fama, al fianco di altri illustri cantori come Anacreonte, divenne immortale.

Le gru di Ibico

“O Ibico i briganti ti uccisero (…)
ma dopo tu invocasti uno stormo di gru,
le quali giunsero testimoni
di te che perivi di morte dolorosissima.”
(Antipatro Sinodio, Antologia Palatina VII 745)

Espressione che viene utilizzata in campo giuridico per evidenziare una cosa certa e manifesta acclarata con indizi e prove certe. Il modo di dire è legato alla morte del poeta; ucciso per mano di due briganti che lo aggredirono in una spiaggia solitaria o in un bosco, a seconda delle fonti, Ibico in punto di morte chiamò a testimoni alcune gru che passavano in volo: “Almeno voi siate testimoni della mia morte!”. Accadde, infatti, che nei giorni successivi mentre i due assassini sedevano come spettatori a teatro, di lì passarono delle gru e uno dei due ingenuamente esclamò: “Ecco le gru di Ibico!”. E poiché, essendosi diffusa la notizia della morte violenta del poeta, alcuni cittadini ascoltarono l’esclamazione e denunciarono i due, che vennero arrestati e sottoposti ad interrogatorio, finendo per confessare l’accaduto ed essere condannati a morte.Il Monumento a Ibico reggino è un opera di Michele Guerrisi.

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