Plenilunio marino

Vitrioli Tommaso

Plenilunio marino

Periodo

XIX sec.

Soggetto

Tecnica

olio su tela

Dimensioni

cm 70×60

Altre informazioni:
Collezione (Vitrioli);
Proprietà (Comodato d’uso Comune di Reggio Calabria);
Inventario (57)

Nel dipinto è raffigurato un paesaggio marino notturno. Quasi in lontananza si nota una barca a vela poco illuminata e una seconda la si nota, raffigurata a silhouette, sulla sinistra della tela. Sullo sfondo figura il cielo nuvoloso, illuminato al centro dalla luce lunare. In primo piano il mare calmo, sul quale si riversa il riflesso della luna.

Oggetti: barche a vela

Nell’opera si intravedono temi e soggetti che possono ricollegarsi alle ricerche paesaggistiche della scuola di Posillipo e all’esperienze del padre Annunziato che studiò all’Accademia di belle Arti partenopea. Il dipinto si lega anche alle tematiche etiche ed estetiche dell’epoca romantica. Il concetto di Sublime è “Tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore”, il sublime può anche essere definito come “l’orrendo che affascina”. La natura, nei suoi aspetti più terrificanti, come mari burrascosi, cime innevate o eruzioni vulcaniche, diventa dunque la fonte del Sublime perché “produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire”, un’emozione però negativa, non prodotta dalla contemplazione del fatto in sé, ma dalla consapevolezza della distanza insuperabile che separa il soggetto dall’oggetto.

Il sublime è legato al terrore, e il terrore è tanto più terribile se legato alla paura peggiore per l’uomo, ossia la morte. Questo sentimento di terrore però non deve essere vissuto in prima persona, in quanto non sarà più sublime ma paura vera e propria.

Per pittura napoletana si intende quell’attività creativa pittorica che abbraccia un arco di tempo che va dal XVII alla prima metà del XX secolo e che ha interessato la città di Napoli influenzando poi tutto il meridione. La pittura napoletana si trasforma completamente nell’Ottocento, abbandonando ogni residuo tardo-barocco o caravaggesco e inserendosi in un più vasto movimento artistico, paesaggistico e in parte romantico, che assume connotati propri con la Scuola di Posillipo tra il 1820 e il 1850.

A questo va aggiunto anche il fenomeno dilagante di un’arte minore quale la pittura di paesaggi su fogli e piccole tele da vendere ai turisti giunti a Napoli, immortalando i paesaggi del Vesuvio, di Pompei, delle isole o di altri scorci della città.

A portare alla nascita di una vera corrente pittorica di questo tipo è Antonio Pitloo, giovane olandese che giunge a Napoli nel 1815, dopo un soggiorno a Parigi a contatto con paesaggisti seguaci di Valenciennes, dove muore nel 1837, lasciandovi una grande eredità. Pitloo unisce tutte queste istanze pre-paesaggistiche e “introduce” per primo a Napoli la tecnica della pittura en plein air “all’aria aperta”, dipingendo in splendidi olii ricchi di luce ed effetti cromatici i paesaggi più classici della città partenopea.

La pittura napoletana di fine Ottocento primi Novecento riprende le esperienze dalla Scuola di Posillipo, limitandosi però talora ad un vedutismo locale e ad un pittoricismo di facile fruizione, pur in presenza di artisti di altissimo profilo tecnico ed artistico.

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