Ritratto del latinista Diego Vitrioli

Vitrioli Annunziato

Ritratto del latinista Diego Vitrioli

Periodo

XIX sec.

Soggetto

Ritratto

Tecnica

olio su tela

Dimensioni

cm 85×73

Altre informazioni:
Collezione (Vitrioli);
Proprietà (Comodato d’uso Comune di Reggio Calabria);
Inventario (130)

Si tratta di un dipinto di forma rettangolare. È stato ritratto un nobiluomo a mezzo busto. Egli indossa una collana con medaglia e un cappotto nero in cui figurano tre spille onorarie sul lato sinistro. A destra del dipinto, in basso, è stata rappresentata una collana con lo stemma pontificio. In alto a destra, un cappello nero con piuma e una spada.

Personaggi: nobiluomo. Oggetti: collana, spille, cappello, spada.

La sua produzione artistica, anche come ritrattista, è numerosa. Egli compose diversi quadri di soggetti calabresi, e specialmente reggini, cogliendo pose e atteggiamenti caratteristici. Diego Vitrioli (Reggio Calabria 1818 – 1898). Poeta e latinista italiano studiò presso il Real Collegio della sua città e fu allievo di Antonino Rognetta e di Gaetano Paturzo, che gli insegnarono l’arte dell’umorismo e dell’arguzia.

Paragonabile al Pascoli per le sue attitudini umanistiche, molto presto Vitrioli si fece notare per le sue doti classificandosi tra i primi posti nei concorsi.

All’età di 25 anni si rivelò infatti al mondo con lo Xiphias, poemetto che rievoca le emozioni della pesca del pescespada nello Stretto tra Scilla e Cariddi, con il quale vinse il Certamen poeticum Hoeufftianum. Tale opera consentì al poeta di ottenere la medaglia d’oro e il riconoscimento del suo capolavoro tra le opere più eleganti e originali della poesia umanistica italiana.

Successivamente fu insegnante di latino e greco nel Real collegio di cui era stato allievo, e poi direttore della Civica Biblioteca (oggi Biblioteca Pietro De Nava), ciò gli consentì di concentrarsi sugli studi che aveva cominciato a coltivare con passione.

Nel 1855 sposò una nobildonna, con cui pare non andasse molto d’accordo, e da cui dopo due anni ebbe un figlio di nome Tommaso. La cosa però non mutò lo strano rapporto tra i coniugi e la morte del figlioletto di soli sette anni fece infatti separare i due coniugi, anche se il poeta continuerà ad omaggiare la moglie della prima copia di ogni sua pubblicazione.

Nel 1860 in seguito all’ingresso dei garibaldini a Reggio, Vitrioli venne esonerato dall’incarico di bibliotecario perché fu ritenuto “illiberale” contestualmente ad un periodo in cui non era consentito conciliare l’essere cattolici e patrioti contemporaneamente, perciò decise di ritirarsi silenzioso in casa per scrivere. In quegli anni dimostrò benevolenza verso Papa Pio IX e strinse rapporti di studio con Leone XII, che lo chiamava “principe dei letterati”, e che offrì di istituire per lui una cattedra in Vaticano. I due infatti uniti da una profonda e reciproca ammirazione mantennero una fitta corrispondenza epistolare. Nel maggio del 1896 per iniziativa del Cardinale Gennaro Portanova, arcivescovo di Reggio, fu offerto al Papa un sontuoso pescespada accompagnato da un epigramma del Vitrioli che, nella traduzione italiana, dice: «Giacché una volta Cristo a te diede le mistiche reti riceviti ora, o sommo Pontefice, un pescespada. Esso preso sotto i gorghi di Scilla con celere barchetta, ben volentieri viene ai tuoi piedi. Avrebbe voluto venire in una sua compagnia una torma di pesci, quanto ne nutrono le acque del turrito Faro, ma il nostro pescespada quale abitante del siculo stretto si dia solo esso piuttosto in pasto al Pontefice. Sia questa la gloria più grande di questo pesce vagante per i flutti del mare, sia questa la somma gloria dell’Uomo armato di tridente. Ordunque addio conchiglie e rombi delle acque del Faro, il pescespada saporito sia dato in pasto al Pontefice.» Vitrioli ebbe illustri ospiti quali il de Spuches, il Kerbacher, Theodor Mommsen, essi narrano come il poeta gioisse nella “sala dello Xifia” nel decantare la poesia sulla pesca e nel rivelare i pregi del geniale affresco del Crestadoro; mentre si dice che vagasse misticamente nella “sala di Diana” per i vasti orizzonti della mitologia; e ancora si dice che nella sala del faro il poeta fosse il più delle volte incantato ai misteri indagati del mare dello Stretto. Poi si chiuse definitivamente nella solitudine e morì nel 1898 a Reggio Calabria dove volle sotto il suo ritratto questo epigramma: «È patria mia la Brezza; mi allevò Calliope col miele delle Pieridi.»

Opere

Diego Vitrioli, Xiphyas, carmen Didaci Vitriolii, Amstelodami: Mullerum, 1845.
Poemetto latino in esametri, si compone, nella edizione definitiva di tre canti: nel primo, Aglaja, è descritta appunto la poesia dello Xiphias; nel secondo, Thalia, è narrato il mito di Scilla, splendida giovinetta, trasformata dalla maga Circe, gelosa dell’amore che nutriva per lei Glauco, in orribile mostro; nel terzo, Euphrosyne, sono riportati i canti e i riti dei pescatori dopo l’uccisione del pesce spada. Pubblicato in occasione del concorso latino dell’Accademia di Amsterdam fu tradotto successivamente, in endecasillabi sciolti dello stesso autore. D’ispirazione letteraria, sono particolarmente efficaci le descrizioni contenute nel primo canto, dove il Vitrioli sceglie come protagonisti degli umili pescatori, “Veglie Pompeiane”(in italiano), “Ritratto paterno”, “Epigrammi”, “Saggio di versi in greco”, “Elegie latine”,”Elogio di Angela Ardinghelli in latino o greco con traduzione italiana, pubblicati nelle “Opere Scelte”, (Ceruso,Reggio Calabria,1893; ristampa a cura del nipote D.Vitrioli,1930).

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