Barlaam di Seminara, detto anche Barlaam Calabro nacque a Seminara, in provincia di Reggio Calabria il 1290, morì ad Avignone il 1º giugno 1348.
Nella sua vita intellettuale ha attraversato tutti i campi del sapere umano, è stato un matematico, filosofo, vescovo cattolico, teologo e studioso della musica bizantina. Scrivendo in quest’ultimo campo anche un trattato di acustica.
In campo strettamente religioso, era un monaco, è stato uno dei più convinti fautori della riunificazione fra le Chiese d’oriente e occidente nel tentativo di riunificare le due grandi chiese cristiane ha molto viaggiato spendendosi in prima persona per il dialogo. È considerato, insieme all’altro calabrese Leonzio Pilato, uno dei padri dell’Umanesimo europeo.
Sebbene gran parte della sua opera sia andata perduta, si conservano ancora di lui un buon numero di opuscoli di vario contenuto, in genere brevi, ma densi di pensiero. La maggior parte di essi sono sorprendentemente ancora inediti.
Barlam: l’uomo della Provvidenza
Quando nel 1342 arriva ad Avignone, Barlaam da Seminara sembra l’uomo mandato dalla provvidenza per fare uscire Francesco Petrarca dalla sua splendida solitudine degli ozi di Valchiusa.
Il monaco basiliano calabrese infatti, conosce il greco, una rarità per la cultura dell’Europa occidentale, che a dispetto dei molti manoscritti, codici e scolii salvati da pazienti amanuensi, ha pochi studiosi in grado di leggere e tradurre in latino, perchè allora le opere si traducevano in latino per poi essere lette e studiate.
Mentre il greco è ancora la lingua dell’oriente, e fu tale fino alla caduta di Bisanzio per mano dei turchi-ottomani avvenuta solo nel 1453, nelle corti d’occidente si balbetta qualche parola e i capolavori della letteratura e della filosofia greca sono muti.
Barlaam fu maestro di greco anche di Giovanni Boccaccio, ultimo grande del medioevo e primo umanista riconosciuto. In questo campo è proprio l’umanista Giannozzo Manetti il primo a menzionare Barlaam nella sua biografia del Petrarca.
Il poeta nativo di Arezzo e poi trasferito con la famiglia alla corte dei papi di Avignone, da anni è un vero e proprio cacciatore di libri. Gira senza sosta per monasteri e abbazie alla ricerca di rotoli e papiri contenenti opere greche e latine, capolavori che sopravvivono sotto le ceneri della barbarie medievale.
Barlaan cultore della lingua di Saffo e di Omero può risolvere un suo cruccio che lo assilla più dei rifiuti dell’amata Laura, gli può insegnare il greco e fargli leggere i capolavori che possiede nella sua biblioteca ma che per lui sono oscuri. Fra questi un volume con sedici dialoghi di Platone, il principe dei filosofi, non a caso il filtro pagano che Agostino, amatissimo dal Nostro, utilizza per mediare la cultura classica con il Vangelo.
L’alfabeto, gli articoli, la prima declinazione, il tema del presente, il poeta si applica è bravo, il maestro lo loda ma non fa in tempo a spiegargli la formazione dell’imperfetto con i suoi aumenti, che il monaco viene nominato vescovo di Gerace e deve rientrare frettolosamente in Calabria per indossare la mitra e impugnare il pastorale della più antica diocesi greca d’occidente.
Il rammarico di Petrarca aumenta allorquando, con l’aiuto del buon vino di Provenza riesce a farsi donare dall’ambasciatore dell’Impero d’Oriente niente meno che un manoscritto di Omero.
Molto tempo dovrà trascorrere ancora, molti lutti dovrà patire l’ormai vegliardo Petrarca, quello di Laura, quello dello stesso Barlaam, fino a quando Boccaccio gli donerà una copia di Omero tradotta in latino da Leonzio Pilato, un altro grande calabrese.