Questo cammino spirituale viene percorso ogni anno da migliaia di fedeli, sin dall’epoca della Magna Grecia. Un posto magico, sublime, che assomiglia tanto all’Olimpo; un santuario nel cuore della montagna, prossimo alla vetta dell’Aspromonte, Montalto: duemila metri di altezza. Ovunque la bellezza della natura incontaminata della “montagna bianca”, lecci, castagni, querce secolari. Per Corrado Alvaro, il più grande scrittore calabrese del ‘900, quella di Polsi è: “La grande festa!”, la festa per eccellenza.
Il Culto nel periodo della Megale Hellas
La presenza greca di un culto legato a Demetra è stata attestata dal recente ritrovamento nell’attuale sito dove sorge il santuario di statuette votive, monete, reperti del periodo provenienti da Siracusa, Agrigento, Sibari, a testimonianza che i pellegrini giungevano, già da allora, dalla Sicilia e dalla Calabria.
Qui gli antichi abitanti delle colonie greche venivano una volta l’anno per consultare l’oracolo di Pule; “Pule” nel greco antico significa passaggio, battente di porta, porta. Il Pulakos è il custode della porta. È la porta che ti fa accedere all’Olimpo, al regno degli dei. A Polsi si arrivava non solo per interrogare l’oracolo, ma anche per dirimere le controversie tra le diverse tribù, per spartirsi il territorio, stringere alleanze e prepararsi a nuove guerre.
Il culto cristiano
Il primo nucleo del culto cristiano si forma, al principio dell’XI secolo, attorno a un gruppo di monaci basiliani di rito greco, ma è a partire dal XV secolo, in concomitanza con la diffusione dei miracoli legati al luogo, che lo stesso viene consacrato alla Madonna, denominata da allora Madonna della Montagna.
Un Miracolo, varie versioni
Una narrazione del miracolo parla dell’apparizione Vergine Maria a un giovane pastore, che gli indicò il punto ove erigere una nuova Chiesa a lei dedicata. Un altro racconto invece, attesta che in luogo del pastorello fosse stato il conte Ruggero il Normanno a ricevere in visione la Madonna durante una battuta di caccia e i levrieri del nobile a portare alla luce una croce sotterrata. Croce che ritorna in un’altra versione del miracolo, quando un contadino arresta il vomere del suo aratro nel terreno perché i buoi con le corna mossero il terreno dissotterrando la Santa Croce. La statua della Madonna, oggi presente all’interno della chiesa e portata in processione ogni 14 settembre a mezzogiorno, è invece opera della scuola siciliana del XVI secolo, scolpita nel tufo.
I momenti forti del pellegrinaggio
Sin dalla fine di agosto e per tutto il mese di settembre, i pellegrini risalgono le strade dell’Aspromonte, dal Tirreno e dallo Jonio per vivere la notte sacra; la notte insonne che scorre fra il primo e il due di settembre. La veglia, fatta di litanie, preghiere, canti e balli è detta dagli antropologi “incubatio”.
I fedeli fanno a gara per salmodiare novene, richiedere grazie, fare voti, per alzare il proprio figlio fino a fargli sfiorare le vesti di pietra della Madonna o per toccare la statua miracolosa. Molti salgono fino al casello di Cano, incrocio tra i due versanti per poi discendere nella vallata che porta al santuario, a piedi scalzi, gridando a più riprese: “Viva Maria, a Maronna ‘ra muntagna chi di lupi non si spagna!!”(Viva Maria, Madonna della montagna che dei lupi non si spaventa) Un misto di “devozione religiosa e festa dionisiaca”, così come descritta dal romanziere calabrese Francesco Perri.
L’altare della piccola chiesa, nella notte, accoglie le offerte votive dei fedeli. Il santuario è caratterizzato dalla presenza di numerose case di appoggio per i pellegrini, ogni paese ne possiede una, e alla “balconata” si possono leggere i nomi dei vari comuni di provenienza. Un nucleo importante è composto dai devoti siciliani che occupano la parte del complesso denominata “domus siculorum”, a testimonianza della diffusione del culto mariano in un’area vastissima. I fedeli dello Stretto di Messina, che compiono due giorni di viaggio per arrivare fin qui, nel cuore dell’Aspromonte, hanno sempre venerato questa Madonna che sin dal culto greco bizantino era definita la “Gorgo Epikoos”, la Madonna dei naufraghi, quella che interviene in soccorso di chi è in difficoltà in mare.
La festa nel tempo
In passato si arrivava al santuario a piedi, a dorso di muli, cavalli e asini o con mezzi fuoristrada percorrendo mulattiere strette e ripide. Oggi le carovane di pellegrini sono organizzate anche con camion agghindati a festa che risalgono la montagna al ritmo di canti e musiche. Caratteristiche sono anche le bancarelle dei macellai con appese le carcasse di capra. La carne è macellata in loco, così come accadeva negli antichi culti pagani, per dar vita a quella grande cucina del “sacrificio” che, prima degli ultimi divieti imposti per motivi sanitari, arrivava a cucinare più di mille ovini e caprini. Anche altri riti sono venuti meno: come ad esempio il dormire all’interno della Chiesa, lo strisciare la lingua sul pavimento della Chiesa, la cosiddetta “rachitina” o lo sparare con armi da fuoco in segno di festeggiamento.