Secondo la “Vita”, fonte principale per la sua biografia, scritta da un anonimo monaco e raccolta in unico manoscritto, scritto nel 1308 nel monastero di S. Salvatore in lingua Phari a Messina, Elia nacque a Reggio Calabria da famiglia agiata fra l’860 e l’865. Da bambino in un grave incidente perse una mano e perciò ebbe dai contemporanei il soprannome di μονόχειρ (moncherino).
Appena diciottenne decise di farsi monaco intraprendendo così un lungo cammino spirituale che lo porterà alla santità. La prima tappa di questo percorso è il ritiro a vita eremitica nella chiesa di S. Aussenzio sulle pendici di un monte presso Taormina. Successivamente Elia, condusse un pellegrinaggio per visitare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo a Roma, dove ebbe la possibilità di conoscere l’esperto Ignazio che lo educò alla vita monastica. Finito questo periodo di apprendistato Elia rientra nella sua Reghion per unirsi ad un anziano monaco allora famoso, Arsenio, che viveva al tempo nel monastero di Santa Lucia, è qui che riceve l’abito monacale.
Con Arsenio in fuga verso la Grecia
Per sfuggire ad un attacco dei Saraceni contro la città, i due monaci si rifugiarono in Grecia a Patrasso, dove vissero asceticamente per ben otto anni in una torre solitaria. Elia e Arsenio vissero ben voluti dalla comunità locale e dal vescovo che a malincuore li lasciò partire per rientrare in Calabria. Dopo la morte di Arsenio, Elia divenne la guida carismatica del monachesimo calabrese che si andava diffondendo nella regione delle Saline. Gli studi hanno dimostrato che questa località è oggi identificata col territorio della Piana di Gioia Tauro che è attraversato dal fiume Petrace, pressappoco la zona compresa tra i centri di Oppido Mamertina, Palmi e Gioia Tauro.
Dalla grotta al cenobio
All'inizio visse con l'eremita Cosma ed il suo discepolo Vitalio in una grotta. Crescendo la sua fama l’esperienza calabrese, attirò monaci e fedeli da ogni dove, per questo Elia fu costretto, suo malgrado, ad interrompere la sua vita eremitica e a fondare un cenobio in una grotta più grande e accogliente, dove poter accogliere una comunità monastica che via via andò crescendo sempre di più. In questo luogo morì novantaseienne, dopo ben settantun anni di vita eremitica. Il 960, è tramandato convenzionalmente come anno della morte, da allora il monastero fondato da Elia assunse il titolo di "imperiale monasterium", segno di particolare attenzione da parte dell'imperatore. L'importanza di Elia lo Speleota nel monachesimo greco dell’Italia medievale è testimoniata anche dal fatto che il suo nome è accostato ad altri grandi del tempo, come San Fantino il Giovane e San Luca d'Armento, che di Elia furono suoi discepoli e San Nicodemo di Cellarana che lo raccomandò ai fedeli come autore di miracoli.
Là dove si compirono i miracoli
Nel territorio del comune di Melicuccà, il cui nome deriva dall’insediamento fondato dagli abitanti della zona tra ampi boschi dei bagolari, in greco melikokkos, nel cuore della Piana di Gioia Tauro, su una ripida parete di tufo con cavità e anfratti, sorge l’antico complesso delle grotte eremitiche che ospitarono nell’alto medioevo il cammino ascetico di Sant’Elia. Il sito rappresenta una delle più importanti testimonianze archeologiche della grecità Bizantina nell’Italia meridionale. Risalente al X secolo, conserva i resti del cenobio e delle fabbriche annesse (cantina, mulino, palmenti, necropoli) nei periodi di massimo splendore le strutture ospitarono oltre centocinquanta monaci.
La grotta più ampia, conosciuta come la “divina e famosa grotta” oggi è oggetto del culto popolare ed l’unica lasciata intatta dai terribili terremoti. Alta oltre quattro metri e profonda diciotto ospita la miracolosa sorgente detta “acqua del giardino di S. Elia” o àghiasma (“fonte sacra”) una sorta di acquasantiera naturale in pietra, che raccoglie l’acqua che gocciola all’interno della grotta, e alla cui fonte si compirono diversi miracoli. Quando Elia morì, fu sepolto nel sepolcro che lui stesso aveva scavato nella grotta con le sue mani. Lì, il suo corpo rimase fino al 2 agosto 1747 quando furono scoperte le sue ossa. In quell’occasione, Antonio Germanò, giovane di Melicuccà gravemente ammalato, alla sola vista delle ossa di sant’Elia guarì istantaneamente, aggiungendo un ulteriore miracolo da accreditare al Santo italo-greco.
Sant’Elia viene festeggiato l’11 settembre.