Frittole: del maiale non si butta niente

La lunga preparazione di un piatto indimenticabile

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In molte civiltà contadine l'uccisione del maiale è un evento. Animale di grande valore è in grado di fornire materiale prezioso per la cucina. Insomma ru pòrcu non si jètta nènti. In particolare il maiale nero, tipico della Calabria, conserva anche la sua anima antica e selvaggia. E non c’è ricetta che meglio rappresenta il connubio tra storia e questo animale nobile quanto le frittole.

La carne della festa

Un tempo il maiale si macellava soprattutto in occasione delle grandi feste, ad esempio nel periodo compreso tra le festa della patrona della città, la Madonna della Consolazione, e il martedì grasso o a Natale. La carne era sinonimo di gioia. Ora le cose sono un po’ cambiate, ma in alcuni periodi dell’anno non è raro sentire l’aroma inconfondibile di questo piatto per le strade della città ricordando una tradizione amata e rispettata.

LO SAPEVI CHE?

Un proverbio calabrese recita: “Cu si marita è cuntentu nu jornu, cu ammazza u porceju è cuntentu n'annu” (chi si sposa è contento per un giorno, chi ammazza il maiale è contento per un anno). Per comprendere il significato di questo detto basta assaggiare un piatto di frittole.

Viva la trasgressione

Probabilmente nessun dietologo prescriverà mai le frittole ma qualche volta è sano trasgredire e godersi sapori inimitabili. Il grasso macinato e riscaldato del maiale va a “foderare” le pareti della caddàra (un paiolo ramato). Durante la laboriosa fase di preparazione la pentola viene letteralmente foderata di grasso macinato. In seguito viene sciolto con acqua salata e si aggiungono le parti del maiale, come le costine e le parti meno nobili come collo, guancia, lingua, muso, orecchie, gamboni, pancia, rognoni, cotenna e tutte quelle parti che non possono essere consumate in altro modo. Per sei ore bolliranno nel grasso a fuoco lentissimo. Il risultato è una carne morbida e saporitissima. Dietetica? Questo no.

Tutto, ma proprio tutto

Dopo questa lunga e curatissima lavorazione non si può proprio buttare via niente. Ciò che rimane al fondo della pentola come la sugna, la cotenna, i piccoli pezzi di carne (che a Reggio si chiamano curcùci) si conserva e può essere consumato in seguito in ricette molto gustose come l’ovu e curcùci un uovo in crosta tipico dei pic nic di Pasquetta.

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